
Lievitazione, cosa si intende?
Cosa si intende per lievitazione? E’ una domanda che merita una risposta esaustiva perchè l’argomento lievitazione riguarda un mondo davvero complesso ma molto affascinante. Iniziamo a scoprire intanto uno dei fattori che innesca la lievitazione cioè il lievito e le sue diverse tipologie.
Cosa sono i lieviti? I lieviti sono degli organismi unicellulari eucarioti che, attraverso il processo di fermentazione, trasformano le molecole di glucosio presenti nella farina.
I lieviti, attraverso la fermentazione, sono in grado di adattarsi sia in condizioni di areobiosi che in anareobiosi. In presenza di ossigeno i microrganismi si moltiplicano, in assenza di ossigeno invece riescono ad adattarsi producendo anidrite carbonica e alcool etilico, dando vita alla fermentazione alcolica.
Prima di scoprire nel dettaglio le caratteristiche del lievito, sia da pasta madre che da lievito di birra, è importante conoscere i vari tipi di lievitazione.
Le tipologie di lievitazione
Per lievitazione si intende l’aumento del volume di un impasto senza modificare il peso.
In pasticceria il termine “lievitare” non si rivolge solo a quei prodotti che contengono tra gli ingredienti il lievito di birra o il lievito madre, ma a tutto ciò che aumenta di volume incorporando aria, come la panna o l’albume montato.
Distinguiamo le varie tipologie di lievitazione naturale:
- Lievitazione fisica
- Lievitazione chimica
- Lievitazione biologica
Per lievitazione fisica si intende quella che si ottiene attraverso lo sviluppo di vapore o incorporando aria come avviene per la meringa, il plumcake, la panna montata, il gelato, il pan di Spagna o la pasta bignè, che sono tra le basi più comuni e utilizzate in pasticcera, che non prevedono l’utilizzo del lievito o baking.
Anche la pasta sfoglia rientra tra i prodotti che subiscono una lievitazione fisica, perché, tra la stratificazione di pasta e burro o margarina, si crea vapore acqueo durante la cottura e, di conseguenza, un aumento di volume nella parte impermeabilizzata dal grasso, favorendo così la formazione della classica struttura alveolata. Tra le caratteristiche importanti per ottenere una perfetta lievitazione fisica vi è la viscosità del prodotto, in grado di trattenere l’aria incorporata tra le particelle.
La lievitazione chimica invece prevede l’utilizzo del lievito chimico o baking, che si attiva in presenza di umidità, ph e calore, producendo anidride carbonica. Tra questi agenti lievitanti abbiamo il bicarbonato d’ammonio e il bicarbonato di sodio. Il bicarbonato di sodio si attiva in modo ottimale in presenza di un elemento acido, come il cremor tartaro.
A seconda della tipologia di lievito chimico utilizzato si ottiene una lievitazione diversa e immediata rispetto alla lievitazione biologica. Infatti grazie al calore forno i prodotti realizzati con lievito chimico producono l’anidride carbonica necessaria per lo sviluppo del corretto volume dell’impasto.
La lievitazione biologica di attiva attraverso la fermentazione ed è uno dei metodi più delicati e complessi di levitazione. Bisogna mantenere vivi e attivi i microrganismi presenti nel lievito stabilendo le condizioni fisiche e ambientali favorevoli per garantire al prodotto finale non solo il giusto sviluppo ma anche tutte le caratteristiche organolettiche e di lunga conservazione.
Nella lievitazione biologica vengono impiegati lievito naturale o lievito di birra o la combinazione di entrambi, che devono produrre una fermentazione equilibrata tra acido lattico, alcool etilico e acido acetico.
La lievitazione biologica si distingue in diretta, semi-diretta e indiretta. Quest’ultima si adatta sia al lievito di birra, attraverso la biga o il poolish, che al lievito madre. Il metodo indiretto permette una digeribilità dell’impasto migliore rispetto al metodo diretto, poiché in quest’ultima si utilizza una grande quantità di lievito di birra per poche ore di lievitazione (fino a 25 g di lievito di birra fresco per kg di farina).
La temperatura ottimale di lievitazione è tra i 22° e i 28°C. Temperature alte (oltre il 28°C) favoriscono il consumo di zuccheri presenti nella farina e accelerano i tempi di lievitazione, ma non è consigliata in quanto il gusto e la lunga conservazione potrebbero essere compromessi.
Quando si parla di lievitazione naturale si pensa al lievito madre e alle varie tecniche di produzione e rinfresco per mantenerlo sempre vivo ed attivo.
Quali sono le condizioni per mantenere il lievito madre e garantire una corretta lievitazione?
- La presenza di grassi, zuccheri e sale possono favorire o no la riproduzione dei microrganismi.
- Il grado di acidità stabilito dal ph che se acido (<3,9) comprometterebbe la fermentazione, se basico (>5,3) la rallenterebbe.
- Le caratteristiche chimiche dell’acqua, cioè la durezza e la presenza di minerali potrebbero compromettere la fermentazione. Il cloro in alte concentrazioni, così come il magnesio e il calcio, rallenterebbero o ucciderebbero i microrganismi. Nella fase del rinfresco del lievito è consigliato utilizzare dell’acqua minerale naturale a basso residuo fisso oppure frizzante.
Il lievito è uno dei prodotti molto utilizzati sia nella panificazione che nella pasticceria, soprattutto nella produzione dei piccoli (come le brioche) e grandi lievitati da ricorrenza come il panettone, il pandoro e, a seconda dei casi, si utilizza il lievito madre o il lievito di birra o la combinazione d essi per la lievitazione mista.
La famiglia di lieviti più attiva è quella dei Saccharomyces cerevesiae, presenti soprattutto nel lievito di birra, e i Saccharomyces exiguus nel lievito naturale.
Durante la fermentazione dei carboidrati è importante che si sviluppino i batteri lattici ed acetici necessari che favoriscano la formazione di sostanze organolettiche e nutritive. In questo modo i batteri lattici formano acido lattico che, insieme all’acido acetico, in proporzione di 3:1, determinano il giusto ph.
L’attività fermentativa dei lieviti e dei lactobacilli è diversa, in quanto i primi hanno un potere lievitante superiore rispetto ai secondi, lavorano in condizioni di temperature esterne e di umidità ottimali favorite dal giusto grado di idratazione dell’impasto. Anche il rapporto tra lieviti e batteri è un elemento molto importante per stabilire la corretta destinazione del lievito per le diverse tipologie di impasto e prodotti. Infatti è possibile riconoscere e utilizzare il lievito madre o per i grandi lievitati oppure per la produzione di pane, pizza o focaccia.
Una pasta madre che presenta un numero crescente di batteri, e quindi lo sviluppo di minore acidità, è idonea per i grandi lievitati in quanto garantisce uno shelf life maggiore, scongiurando la proliferazione di muffe. Se invece batteri sono minori il lievito è adatto alla produzione di impasti per pane o pizza, in quanto il loro consumo in tempi brevi, non necessita di una grande presenza di batteri. Infatti la lievitazione sarà più veloce e con una presenza maggiore di acidità.
Realizzare il lievito madre è un procedimento che richiede determinate condizioni, soprattutto durante i rinfreschi. Potrebbe capitare, quando si è alle prime armi o non si ha la giusta esperienza a riguardo, di incorrere a determinati errori oppure non riconoscerli, compromettendo la corretta riuscita del prodotto finale.
Come si conosce il lievito madre? Quali sono le sue caratteristiche?
Il lievito madre quando è maturo ha delle caratteristiche particolari. Emana un profumo gradevole e un sapore poco acido, alveoli lunghi e regolari e un ph tra il 4,10 e il 4,30. Il colore è avorio.
Il lievito forte invece può essere acido o non acido. Il lievito non acido, anche se non emana odori sgradevoli ma raggiunge il suo volume in poche ore, non è da considerarsi pronto per l’utilizzo. In questo caso ha prodotto troppi lieviti rispetto ai batteri. Il lievito madre forte acido invece si riconosce subito dall’odore acre e pungente, l’alveolatura troppo rotonda e quasi stracciata ed un ph troppo acido (inferiori a 4). In questo caso ha prodotto troppo acido acetico.
Il lievito madre debole ha le seguenti caratteristiche: sapore dolce senza toni di acidità, ph basico (tra il 5-5,5), poca alveolatura e colore bianco.
Il lievito inacidito ha sviluppato troppo acido butirrico tale da provocare un ph bassissimo, un odore molto fastidioso (simile al formaggio stagionato), la viscosità della pasta e un colore grigio chiaro.
Come riconoscere un eccesso di acido lattico e acido acetico nel lievito madre?
Riconoscere un lievito madre con problemi di acidità è una capacità che si sviluppa nel tempo con la giusta esperienza. Tuttavia ci sono dei campanelli di allarme che ci avvisano se il nostro lievito ha qualcosa da correggere.
L’eccesso di acido lattico, essendo un elemento inodore, si può riconoscere solo dal sapore dell’impasto cotto che deve risultare amaro e persistente in bocca. Il prodotto visivamente sviluppa meno volume, è appiccicoso, si scompone quando i grassi vengono incorporati, causando un’instabilità alla maglia glutinica. Il prodotto cotto realizzato con questo lievito si distacca dallo stampo o pirottino (ciò accade quando i grandi lievitati, appena sfornati, vengono appesi a testa in giù) e al taglio l’alveolatura risulta troppo piccola.
L’eccesso di acido acetico invece si riconosce facilmente, in quanto il primo sentore è l’odore pungente e acre. Altre caratteristiche per riconoscere un eccesso di acido acetico è il sapore leggermente amaro, una maglia glutinica che si straccia facilmente, una perdita di sapore nel prodotto finito, un’alveolatura troppo grossolana e una tendenza maggiore all’insorgenza di muffe, denotando uno scarso shelf life.

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